Si copia-incolla,
il cielo, su una pozza
d'acqua tremante.
Si butta giù
dal davanzale, il merlo,
ad occhi chiusi.
Sole sfocato,
lattiginoso. Lenti
un po' appannate.
Si staglia netta,
una mosca, nel blu
d'avvio di Windows.
Pensieri, vele
senza albero, aquiloni
senza cordino.
È sempre triste
farlo arrossare, il verde,
tagliando l'erba.
I forasacchi
sono peggio del velcro,
povera bestia.
Lastre di porfido.
Tra l'una e l'altra, stucco
verde di muschio.
Coito interrotto.
E perciò manìa di
prosecuzione.
Nero di storni,
il cielo. Quasi quasi
chiedo un passaggio.
È levatrice
dell'haiku, molto spesso,
la malattia.
Numero ex nume,
perché gli dei li contano,
i nostri peli.
Non è possibile
coabitare Tu ed io.
Potrei morire.
Il mal di cuore
è il cordoglio. Di capo,
il capodoglio.
Non costa e non
aiuta la ricerca:
bicarbonato.
Un parto al giorno.
C'è chi scodella un uovo,
chi un haiku nuovo.
Con l'anno nuovo,
le medicine vecchie
le butto al secchio.
Le flautolenze.
È una vera brass band,
quella notturna.
Uomini, topi
e il pendaglio da sorca
come bandiera.
Il panormita:
«ANOMALO o MALANO,
par mi l'è istess'».