Tira a casaccio,
il vento. Eppure il colpo
l'azzecca sempre.

È un bacio rapido,
quello del cane, appena
apro la porta.

Blocchi di marmo.
Le radici li scardinano,
ma senza rabbia.

Torre merlata,
ieri scagliavi frecce
ed oggi merli.

È senza figli,
la neve, eppure sotto
di lei c'è il pane.

Non ti denuncio,
inquilino abusivo.
Casa era aperta.

Neppure un pelo.
Sembra un tocco di lardo,
questo selciato.

Perché rubarlo?
Fatti toccare e il dolce
te lo regalo.

Perfino i rovi
sembrano più maturi,
a fine estate.

Sentivo caldo.
C'era una foglia rossa,
nella camicia.

Dodici panche,
quattro nicchie, un altare
e poca luce.

Fede è paura,
perché non ce ne sono,
di atei, in trincea.

La cacarella.
Ecco il segno fecato
dell'esistenza.


È un eufemismo,
«passare a miglior vita»,
cui non crediamo.

Si dice "il povero"
e non "il fortunato",
del caro estinto.

Condanna a morte.
Forse il medico può
procrastinarla.

La prevenzione
è evitare di nascere
per non morire.

Se non amato,
ammirato, temuto
o compatito.

Quanto è umiliante
non poter fare a meno
dei proprii simili?

È un mondo magico,
laddove accade solo
quello che vuoi.

Quello che vuoi,
puoi farlo. E tuttavia
non puoi volerlo.