Hand in the kiap,
cioè una mano avanti
e l'altra dietro.

Croste di pane.
Un po' ne mangia, il passero,
e un
po' ci gioca.

Come campane,
le maniglie del tram
le hai sempre in fronte.

Lappa contento,
il gatto. Non lo sa,
d'essere cieco.

È andato a sbattere.
Per fortuna, s'è spento
solo il lampione.

È «tipo 0»
di farina di legno,
il panditarlo.

Sfregi di luce
sulla guancia del cielo.
Stelle cadenti.

Sabbia infuocata.
L'onda si scotta i piedi
e torna indietro.

Catturano echi
di tocchi di campana,
le ragnatele.

Condivisione
è quando un solo ombrello
bagna due spalle.

Una parete
fatta di vetri. Ognuno
la stessa nuvola.

Caldaia rotta.
Non resta che scaldarmi
con la tua foto.


Una lucertola
fa da spilla ad un muro
pericolante.

Mattino grigio.
Ma c'è il sole dei kaki
a illuminare.


L'ultimo gufo
come la prima rondine:
nonno e nipote.


Il buon governo
si vede quando i nati
son più dei morti.

Perché curarlo?
Il male, o passa lui
o passo io.


A una soffiata
o ad un pettegolezzo,
mai dare alito.

Perché allungarla?
Basterebbe allargarla,
la nostra vita.


Si mente solo
a chi si riconosce
per superiore.

 

Non ha scusanti
il tallone da killer,
se abbassi gli occhi.


Vale un po' meno
un haiku di cui ignori
chi sia l'autore.


Flora batterica
e fauna intestinale:
lo zoo di dentro.

Il vuoto a rendere
era pieno di vita,
anch'essa a rendere.


C'è il suo zampillo.
Se è mio marito, a mingere,
non puoi sbagliare.